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Capitolo 12

Il tempo scorreva lento, a Montegeloni, ma i giorni passavano anche lì. Era trascorso circa un mese da quando Osvaldo era arrivato, era ormai la fine di settembre, tra un paio di settimane ci sarebbe stata la festa annuale del paese. Aveva concluso qualche contratto, ma non aveva ancora terminato. Doveva completare il giro delle dimostrazioni e vendere gli ultimi elettrodomestici.Vittorio non aveva restituito la merce. Anzi, diceva a tutti di essere molto soddisfatto dell’acquisto e sicuro di portare a termine, con successo, la sua assurda strategia messa in atto per riconquistare la moglie. Passando nei pressi del maso, lo si poteva vedere mentre era intento ad aspirare le foglie dal terrazzo o le piume delle galline dalla rete del pollaio, anche più volte al giorno.
Osvaldo fissava un paio di appuntamenti alla settimana per le dimostrazioni, ma si era abituato ormai a “godere” dei ritmi letargici di Montegeloni. Il direttore non telefonava, Giovanna neppure, pertanto Osvaldo poteva prendersela con comodo. C’erano anche dei giorni in cui passeggiava nei boschi con Adele, andava a raccogliere nocciole o ascoltava musica e leggeva libri sulle rive del lago. Quel giorno però si era alzato ben intenzionato ad andare a fare una dimostrazione da Felice Caroselli, quello che aveva l’ultimo maso in località Nosella. Tutti lo consideravano un vero orso: testardo, taciturno, schivo. Di tanto in tanto, si faceva vedere alla trattoria, ma era un tipo solitario. Felice era uno dei contadini sostenitori dell’agricoltura biologica. Anzi, lui diceva di essere “oltre” il biologico. Era il pioniere nell’allevamento degli struzzi, ma questo il rappresentante di aspirapolvere non lo sapeva.
Osvaldo non era riuscito a contattarlo, pertanto andava senza appuntamento. Il clima stava lentamente cambiando. La mattina l’aria era decisamente fresca, le foglie ingiallivano giorno per giorno e piano piano iniziavano a cadere. La strada di accesso per arrivare al maso di Felice Caroselli non era molto agevole, era sterrata e piena di buche, ma la Volvo SW non aveva ancora intenzione di mollare Osvaldo ed era arrivata a destinazione, grazie alle indicazioni di Toni. Gli edifici sorgevano sulla sommità di una collina, al limitare di un bosco di faggi. La stalla era stata ristrutturata da poco ed ampliata per contenere una ventina di uccelli, separati dall’unica mucca rimasta e da qualche gallina. La casa di abitazione, invece, era vecchia e cadente. Il tetto era stato in parte aggiustato con lamiera a basso costo; il sottotetto dell’edificio era inagibile e molto probabilmente anche il balcone dell’alloggio del primo piano, dove Felice viveva. A piano terra c’erano le cantine e i depositi per gli attrezzi. Nessun cane aveva segnalato la sua presenza abbaiando, pertanto Osvaldo si era guardato ulteriormente intorno. L’esperienza infatti, gli consigliava di attendere qualche minuto, prima di uscire, potevano esserci le oche di Embden, quelle grandi oche bianche allevate per le piume, che aveva già trovato in ben due fattorie visitate nelle settimane precedenti.
Non c’è cosa peggiore: sono libere, con uno spiccato senso del territorio, ti vengono incontro in gruppo senza alcuna paura, starnazzando e muovendo le ali e poi beccano, a ripetizione, finché sfinito, non rientri in macchina. Alla fattoria di Felice, però, tutto taceva. Nessuna oca guardiana all’orizzonte. Osvaldo allora era sceso dalla macchina, per scaricare dal bagagliaio, l’aspirapolvere per la dimostrazione. Aveva il corpo proteso in avanti, con la testa infilata nel baule della SW, quando aveva avvertito come un batter d’ali alle spalle e un becco, anzi più becchi, lo avevano improvvisamente colpito, tanto da farlo alzare di scatto e battere la testa contro il cofano alzato della macchina. Si era voltato e li aveva visti: una decina di struzzi giganti con i colli allungati: lo stavano guardando lateralmente con un solo occhio. L’uomo si era impaurito, era arretrato verso l’interno della macchina e poi aveva spinto in avanti il tubo flessibile della piccola Ketty, sfoderandolo come una spada, nel tentativo di intimidire e far retrocedere quei curiosi uccelli che lo superavano in altezza e tentavano di beccarlo ovunque per difendere il territorio. Non più cani! Non più oche! Felice era un contadino all’avanguardia, lui era “oltre” il biologico, era un innovatore e allevava struzzi, anche da guardia.
Per fortuna il contadino era arrivato a liberare Osvaldo dall’assedio dei grandi pennuti. Era un uomo di piccola statura, aveva cinquantadue anni, ma se li portava gran male. Era abbronzato e ricoperto di peli: capelli ispidi, barba lunga e irsuta e sopracciglio unico, che metteva in ombra due piccoli occhi scuri.
- Buongiorno! Sono Osvaldo Pinelli, forse qualcuno ti ha parlato di me…Sono a Montegeloni da circa un mese, vendo aspirapolvere ad acqua…Sono ecologici e consumano poco…Vorrei illustrarti il prodotto, senza nessun impegno da parte tua…Posso entrare? -
- Si, ho sentito parlare di te…Dicono che hai un aspirapolvere che si chiama come una bambola…Vieni dentro, che parliamo un po’…-
Felice precedette Osvaldo nel piccolo maso. L’uomo viveva in due stanze: una piccola cucina e un soggiorno tutto rivestito di legno, con un solo tavolo e due sedie e una stufa a legna sopra alla quale c’era il letto. Non c’era il bagno: solo un WC a caduta. Per lavarsi, c’era la fontana fuori, anche d’inverno, oppure una tinozza da riempire di acqua riscaldata sui fornelli. Osvaldo pensava di aver fatto un salto nel secolo scorso. Il contadino era si un innovatore, ma anche straordinariamente attaccato al passato, almeno come stile di vita.
Osvaldo aveva ben presto capito che con Felice non avrebbe avuto molto successo: la casa era piccola e forse raramente veniva spazzata. Nel soggiorno, appollaiato vicino al letto c’era un galletto, di quelli di piccola taglia, che lui chiamava “il Rosso” e molto probabilmente usava come sveglia. Come convincere Felice che gli acari erano i nemici contro cui l’uomo del ventunesimo secolo doveva combattere?
In quella casa, probabilmente, gli acari erano degli animali domestici, che coabitavano allegramente con le pulci dei polli.
L’elettricità era a basso voltaggio e forse non avrebbe neppure supportato la potenza turbo della piccola Ketty. Felice gli aveva offerto la solita grappetta fatta di straforo, ma questa, per fortuna, era un po’ più leggera di quella di Vittorio. Aveva iniziato a parlare del suo allevamento e Osvaldo lo aveva ascoltato. Il contadino bio aveva spiegato al rappresentante di aspirapolvere, come da un allevamento di galline da uova era passato ai tacchini, alle oche e, successivamente, agli struzzi. Lo aveva quindi fatto accomodare in cucina e gli aveva fatto assaggiare una omelette gigante fatta con un uovo di struzzo e marmellata di mirtilli. Felice continuava a parlare, probabilmente era in arretrato di chiacchiere, visto che raramente andava al bar; aveva poco tempo, si occupava da solo dell’allevamento e gli struzzi richiedevano diverse cure e molta pulizia. A giorni, inoltre, sarebbe venuto Golìa Rapponi per macellare tre struzzi, che avrebbero fornito la carne per la festa del paese. Felice parlava e parlava, tanto da sembrare fosse lui a voler vendere qualcosa ad Osvaldo. Finché finalmente dopo aver osservato il rappresentante, chiese: - Ma il tuo aspirapolvere come funziona? Ad acqua? - - E’ un aspirapolvere elettrico, ma funziona senza sacchetti, con un serbatoio ad acqua. L’acqua filtra la polvere e lascia uscire aria pulita. E’ economico, perché non bisogna comprare i sacchetti di ricambio, quando hai finito di usarlo, butti via solo l’acqua sporca. E’ una tecnologia innovativa. - rispose Osvaldo.
- Si, però consuma energia elettrica. E l’energia elettrica costa. Cerco di usarne meno possibile. Penso che il tuo prodotto non mi serva, Osvaldo, ho poco da pulire. La scopa tradizionale è più che sufficiente. Grazie, è stato comunque interessante parlare con te. Vorrei proporti un affare: ho visto mentre arrivavi che la tua vecchia Volvo ha parecchi problemi con i fumi di scarico…- - Oh, si, mi dispiace essere arrivato qui con tutto quel fumo nero. Che affare volevi propormi? - - Volevo proporti di provare il bio carburante. - Disse Felice con quegli occhietti neri che lo guardavano interrogativi, di sguincio, ricordando vagamente quelli di un uccello.
-quale bio carburante? - chiese Osvaldo. - Ho messo a punto la proporzione perfetta tra diesel e olio di colza. Funziona benissimo con i vecchi motori. Non fa fumo, ha un ottima resa e costa meno. E soprattutto non inquina. Se vuoi provarlo, ti rabbocco il serbatoio, a un prezzo da amico…- Incredibile, Osvaldo non poteva credere alle sue orecchie. Una cosa così, poteva succedere solo a Montegeloni: lui va a fare una dimostrazione per vendere un apparecchio, resta per ben due ore ad ascoltare un allevatore di grandi polli e poi torna a casa senza aver venduto un solo aspirapolvere, ma con il serbatoio pieno di un biocarburante sperimentale dalla miscela segreta. - Quanto me lo faresti pagare? - - La metà rispetto al distributore automatico di carburante normale che c’è fuori paese. Quanto carburante hai ancora? - Ho mezzo serbatoio. - rispose Osvaldo, incredulo ma curioso. Felice si era messo a fare due conti, con una vecchia calcolatrice, per arrivare all’esatto quantitativo di olio di colza che, in base alla sua personale miscela segreta, doveva essere aggiunta al diesel del serbatoio per ottenere il bio carburante. - Trovato! Ma non ti vedo ancora convinto … Ti farò vedere come funziona il mio trattore! - continuò il Caroselli, precedendolo nel garage.
Il trattore di Felice era un Fiat 60 arancione del 1956, era un pezzo d’epoca appartenuto a suo padre. Ci era salito su, e lo aveva messo in moto. Effettivamente il motore girava, ma non produceva alcun fumo. Felice continuava a esporre a Osvaldo i vantaggi della sua miscela. E quest’ultimo si era convinto di aver trovato un venditore molto più scaltro e abile di lui ed infine, aveva ceduto: avrebbe accettato l’offerta.
Il Caroselli prese allora un paio di taniche, tolse una parte di carburante, mise l’olio di colza e riempì nuovamente il serbatoio con il carburante che prima aveva tolto e poi disse a Osvaldo: -Adesso metti in moto! - Sorpresa. Nessun botto, nessun spettacolo pirotecnico, neppure un po’ di fumo nerastro. No. Il motore della vecchia Volvo girava che era una meraviglia e Osvaldo, ormai diventato un sostenitore del biocarburante, ringraziò Felice Caroselli e si rimise in macchina per tornare verso la trattoria e il B&B.


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