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Capitolo 17

Con tutta probabilità, le corna del macellaio, avrebbero monopolizzato le chiacchiere degli abitanti di Montegeloni, per tutto linverno. Durante la notte, a festa finita, qualcuno aveva provveduto a disegnare con la vernice spray rossa, un gran bel paio di corna, sulla serranda della macelleria e già il giorno dopo, tutti ipotizzavano i nomi del possibile amante di Bruna.
La cosa era alquanto complicata: perché, se da un lato si conoscevano perfettamente i nomi degli scapoli, che potevano facilmente ricoprire il ruolo di amanti, dall’altro lato si poteva ipotizzare, che l’uomo in questione, potesse essere anche un insospettabile padre di famiglia, ipotesi che rendeva le chiacchiere ancora più succose.
La cosa però non durò che qualche settimana: fino a quando si scoprì che Bruna era fuggita con lamante e che lunico uomo sparito contemporaneamente da Montegeloni, era nientemeno che linsospettabile giovane parroco. Erano fuggiti nottetempo, prima che la neve di fine ottobre cadesse, a sorpresa, sui prati e sui boschi di Montegeloni, mettendo a tacere ogni pettegolezzo.
Osvaldo aveva finito di vendere gli aspirapolvere, proprio il giorno prima che iniziasse a cadere la neve. Doveva sicuramente fermarsi ancora un paio di giorni, fintanto che la strada militare non fosse risultata percorribile anche senza le catene. Non era stata una nevicata copiosa: il terreno non era ghiacciato ed in qualche giorno la neve si sarebbe sciolta, almeno sulla strada. Dove invece la neve sarebbe rimasta, era la parte di Montegeloni di sotto, entrata nel cono d’ombra di punta Geloni. Era domenica e per la prima volta dopo molti anni, non si sarebbe celebrata la Messa nella chiesa del paese.
Le stufe a legna erano state già accese, per qualche ora al giorno, alla mattina e alla sera, ma questa prima neve di autunno, arrivata con un po’ di anticipo rispetto al solito, aveva fatto piombare il paese, anzitempo, nel silenzio dell’inverno. Le uniche voci che si sentivano vicino al lago, erano quelle dei bambini della frazione, che avevano tirato fuori dalle cantine padelle da neve, slittini e vecchie camere d’aria di camion gonfie, per scivolare sul prato a monte del lago bianco. Il lago non era ghiacciato, ma l’acqua era ormai freddissima. Non c’era scuola e nessuno era andato a messa, neppure i chierichetti: si poteva slittare tutta la mattina.
I ragazzini più grandi scendevano veloci con le camere d’aria, ma riuscivano comunque a fermarsi prima della riva del lago. Quelli più piccoli scendevano a due a due con gli slittini, oppure con le padelline, senza prendere molta velocità. Giacomo li osservava da lontano, a poca distanza dal pontile. Tra i bambini c’era anche Tobia, il figlio di Piera. Aveva solo 6 anni ed era particolarmente vivace. Voleva a tutti i costi competere con i grandi e provare anche lui a scendere con la camera d’aria. Per questo stava litigando con Davide, tredici anni e il doppio più grande di lui.
- Non ti impresto la camera d’aria, Tobia, sei troppo piccolo, non riesci a controllarla! Voi piccoli non sapete scendere con i gommoni! Noi siamo grandi! Scendi con la slitta! Questo non fa per te! Sulla riva c’è poca neve, non sai come frenare: sei troppo piccolo, hai le gambe corte! - - Non è vero, dammelo! - - Smettila! - disse Davide, spingendo via Tobia. Poi, appoggiato il gommone a terra, si era girato verso gli altri, ridendo.
Ma Tobia non era uno che si perdeva d’animo, anzi. Ormai era diventata una sfida. Doveva far vedere a tutti, che era in grado di scendere con la camera d‘aria, voleva essere il più veloce, anche più veloce dei grandi.
Di slancio era saltato nel gommone, che aveva iniziato subito a roteare su se stesso e a scendere, acquistando sempre più velocità. I grandi si erano voltati di scatto, gridando e correndo a rotta di collo giù per il pendio, nel vano tentativo di frenarlo.
- Frena!!!Meetti giù i piedi! Frenaaa! - Gli urlarono, ma Tobia aveva le gambe troppo piccole, era seduto in centro alla camera d’aria ed i piedi restavano in aria senza toccare terra: inoltre continuava a girare ed a scendere con sempre maggiore velocità. Giacomo aveva assistito alla scena ed intuito il pericolo. Si era messo a camminare il più veloce possibile, con la sua andatura claudicante ed era quasi arrivato al pontile. Forse il gommone si sarebbe fermato nel canneto e tutto si sarebbe risolto con un grande spavento da parte del bambino. Invece no. Il gommone scendeva inarrestabile, puntando dritto verso il pontile. Tobia era raggomitolato nella camera d‘aria, spaventato dal movimento rotatorio e gridava terrorizzato. Il gommone colpì violentemente la prima asse sporgente del pontile, arrestandosi di colpo e proiettando il bambino in aria oltre la banchina, nell’acqua gelida e profonda più di tre metri. Tobia sapeva nuotare, ma la giacca a vento imbottita che indossava, i pantaloni e gli scarponcini da neve, avevano assorbito l’acqua immediatamente, come una spugna. Impossibile galleggiare. Tobia urlava, cercando di tenere la testa fuori dall‘acqua. Giacomo si era tolto la giacca, il maglione e le scarpe e si era buttato in acqua. Doveva nuotare solo per pochi metri. Con fatica aveva raggiunto il piccolo, lo aveva agguantato per il cappuccio della giacca, giusto in tempo, prima che scendesse per il peso sul fondo. Gli aveva tenuto il viso fuori dall’acqua e lo aveva aiutato ad aggrapparsi ad una corda, legata a un palo del pontile, dove nel frattempo erano arrivati Davide e Paolo. I due ragazzini avevano preso per le braccia Tobia e stavano tentando di tirarlo del tutto fuori dall’acqua. Nel frattempo, gli altri bambini erano corsi a cercare aiuto: alcuni erano andati gridando in direzione della trattoria, gli altri, sempre correndo sulla neve scivolosa, erano arrivati al campanile della chiesa, dove si trovava il pulsante per azionare le campane in caso di pericolo e lo avevano premuto tre volte.
In poco tempo, erano giunti sul posto, gli abitanti delle case più vicine, come Athos, Tullio ed anche Golia.
Toni, Miranda e qualche cliente del bar stavano raggiungendo il luogo dell’incidente. Paolo e Davide erano riusciti finalmente a tirare fuori dall’acqua il piccolo Tobia, che giaceva sdraiato sul pontile, immobile, infreddolito e impaurito, ma cosciente. I ragazzini erano scioccati e molto agitati: avevano alzato gli occhi verso il lago, ma non erano più riusciti a vedere Giacomo. Camminavano avanti e indietro sul pontile, guardando nel canneto, per riuscire a scorgere l’uomo, ma nulla.
- Cosa è successo? - chiese Tullio ai due adolescenti. - Tobia è sceso con il gommone, non è riuscito a frenare ed è caduto nel lago … Quel signore … quello che lavora da Adele .. Frankenstein, insomma … si è buttato in acqua, lo ha salvato, è riuscito a portarlo fin sotto al pontile … così noi lo abbiamo tirato fuori dall‘acqua, poi abbiamo cercato di tirare una corda a lui, perché restava a galla a fatica … il tempo di alzare gli occhi e non lo abbiamo più visto … è sparito … nel lago. - disse Davide, agitatissimo e completamente bianco in volto.
- Forza Athos, guardiamo nel canneto. Forse è riuscito ad arrivare sotto la chiesa, lì l’acqua è più bassa … speriamo che abbia raggiunto la riva. - disse Tullio. - L’acqua è freddissima. Giacomo non è un grande nuotatore. Speriamo, facciamo presto. Dividiamoci. Ah, ecco che arriva anche Toni! - rispose Athos. - Miranda! Porta delle coperte, Tobia è tutto bagnato! Accompagna i ragazzi alla trattoria, qua ci pensiamo noi! Golia! Prova a guardare da quella parte! Lo vedi? -
- Giacomo! Giacomo! - gridò Tullio.
Le ricerche erano continuate per molte ore. Tutti gli abitanti della frazione, allertati dal suono delle campane, erano giunti sul posto, anche quelli dai masi più lontani. Era stato messo in acqua anche il gommone dei vigili del fuoco volontari. Lo avevano cercato lungo tutto il perimetro del lago, tra i canneti, lungo la riva. Fino a che il buio aveva reso impossibile qualsiasi ricerca. Nulla. Di Giacomo erano rimasti solo i pochi indumenti sul pontile, quelli che si era levato in tutta fretta, prima di buttarsi nel lago.

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