Capitolo 18
Le
ricerche proseguirono per due giorni. Ormai si aspettava soltanto che
il lago restituisse il cadavere del povero Giacomo. Anche Osvaldo
aveva partecipato alle ricerche, fianco a fianco con gli altri
abitanti del posto.
E
il terzo giorno, il corpo era riaffiorato dalle acque del lago, sulla
riva opposta, rispetto alla chiesa. Era seminascosto nel canneto;
erano stati Tullio e Athos a trovarlo.
Piera
era sconvolta. La gioia di poter ancora riabbracciare Tobia era
offuscata dal dolore per la morte di Giacomo, che aveva dato la vita
per salvare quella di suo figlio. - Non potrò mai sdebitarmi -
diceva piangendo, con la piccola Emma di appena dieci giorni in
braccio.
Il
vescovo aveva inviato in fretta e furia a Montegeloni un padre
comboniano, per sostituire il parroco. Si chiamava padre Oscar, era
un missionario ed era rientrato da alcuni mesi in Italia, dopo un
lungo periodo passato in giro per il mondo, nei luoghi più disperati
della terra. Padre Oscar stava suonando le campane della chiesa a
morto, per comunicare a tutti che il corpo dell’uomo
era stato recuperato.
-
Annegamento - sentenziò il medico legale, arrivato con i carabinieri
da Valfredda - ha avuto un malore, forse a seguito dello sforzo, ed è
annegato. -
Il
giorno dopo, alle 14, si sarebbe tenuta la cerimonia funebre.
Montegeloni
era avvolta dalle nuvole basse e gonfie di neve fino dalla mattina e
tutto appariva sbiadito. Il corteo funebre avrebbe percorso il
viottolo alberato che conduceva dalla canonica, dove era stata
allestita la camera ardente, fino al cimitero. Gli abitanti vestivano
a lutto: gli uomini avevano tirato fuori dagli armadi i completi
scuri e le scarpe eleganti, proprio quelle che indossavano solo in
occasione dei matrimoni e dei funerali, come aveva detto Toni. Le
donne portavano anch’esse vestiti scuri, con i veli neri in testa,
perché così si usava ancora a Montegeloni.
A
guidare il corteo si era messo padre Oscar, seguito dai chierichetti,
poi la bara, sorretta da sei uomini robusti e quindi, a seguire, i
parenti più stretti, gli amici e poi tutti gli altri abitanti. Tutti
portavano una candela o un lumino. Il freddo umido della giornata
penetrava nelle ossa, accompagnando il dolore composto delle persone
che procedevano in corteo. Le betulle che crescevano a lato del
sentiero erano ormai completamente spoglie: le foglie gialle avevano
formato un tappeto, che evidenziava anche da lontano la via per il
cimitero. Quest’ultimo era veramente piccolo: non c’erano tombe
marmoree o monumentali, ma solo croci nere, in ferro battuto, che
riportavano in centro la foto del defunto, una bella foto: una di
quelle, dove il morto sorrideva felice, quando era in vita. Erano gli
unici volti sorridenti all’interno del muro di cinta in granito
grigio, che circondava il cimitero. Se maggio è il mese adatto ai
matrimoni, novembre è quello adatto ai funerali: il cielo è triste,
le giornate sono corte e buie. Nessuno però, conosce o pianifica la
propria dipartita e pertanto non sceglie quando morire, a parte i
disperati casi di suicidio. Quando si è giovani, si è perfino
pervasi dalla certezza di essere immortali. Questa certezza scompare
lentamente negli anni ed allora ci si preoccupa in modo scaramantico
di stipulare un’assicurazione causa morte, pur continuando a
pianificare la propria vita, rimandando magari le decisioni
importanti a un domani migliore; sempre e comunque pervasi dalla
certezza che un domani ci sarà. E poi, nel momento in cui si
partecipa al funerale di una persona cara, morta improvvisamente,
magari nel pieno della vita, ci si rende conto che non muoiono solo i
malati o gli anziani, ma è un evento che ci accomuna tutti e può
prenderti all‘improvviso, anche di sorpresa e quando meno te lo
aspetti. Così, per assurdo, quando la morte ti passa accanto,
soffiandoti sul collo, in quel preciso istante apprezzi ancora di più
la vita e forse decidi di darle una svolta. Anche Osvaldo, stretto al
braccio di Adele, aveva percepito quel gelido soffio sul collo.
Avrebbe avuto finalmente il coraggio di girare pagina, di affrontare
una nuova relazione, un nuovo lavoro, una nuova vita, in un paese
isolato, dove c’erano solo boschi e prati e dove mancava perfino la
stazione dei treni?
Padre
Oscar prese la parola.
-
Siamo qui riuniti, cari fratelli e sorelle, per accompagnare l’anima
di Giacomo alla casa del padre.
Non
lo conoscevo: ad alcuni di voi, ho chiesto che persona fosse. Chi mi
ha raccontato che era brutto, aveva il viso deturpato da cicatrici e
zoppicava vistosamente. I bambini mi hanno detto addirittura che
assomigliava al mostro di Frankenstein. C’è chi ha riferito che
era molto appiccicoso, che quando attaccava bottone non la smetteva
più di parlare, che era noioso. Al contrario, altri hanno sostenuto
che non parlasse quasi mai. C’è chi ha raccontato che diceva frasi
sconnesse, che era strano, chi mi ha detto che diceva bugie. In molti
hanno detto che era un buon uomo, ma matto, altri mi hanno detto che
era sempre triste. Tutti hanno dato una descrizione diversa: solo su
una cosa sono stati concordi: che era un buon PADRE. -
Adele
guardò Osvaldo, Toni buttò un occhio a Miranda, con fare
interrogativo. Ognuno guardava il proprio vicino, interrogandosi su
chi fosse stato a dire una cosa del genere. Il frate continuò- Si,
fratelli. Un buon padre! Si è buttato, istintivamente, perché la
cosa più importante per lui, in quel momento era salvare il bambino,
come qualsiasi padre avrebbe fatto, trovandosi in quella situazione.
Non ha badato neppure un attimo a sé stesso: certo, sicuramente non
ha pensato alla morte, ma solo alla vita di Tobia, come avrebbe fatto
un vero padre, pur di non vedere morire il proprio figlio. Chi salva
un bambino … salva il mondo intero. -
Nessuno
fiatò. Padre Oscar era riuscito a convincere tutti gli abitanti di
Montegeloni della paternità di Giacomo, rendendo immortale quella
sua bugiarda invenzione, detta per sentirsi bene.
Poi
lentamente, Zeno iniziò a suonare il violino, Athos la chitarra,
mentre Lenìn intonò “Fruit Tree” di Nick Drake.
Dopo
che il frate ebbe impartito la benedizione al defunto, gli uomini
calarono lentamente la cassa nella fossa aperta. La neve iniziò a
scendere sempre più copiosa e in grandi fiocchi, ricoprendo la tomba
di Giacomo con una candida coperta.
Gli
abitanti rientrarono nelle loro case: anche Osvaldo e Adele avevano
fatto ritorno al B&B. Nessuno dei due aveva molta voglia di
parlare; preparavano insieme la cena. Sembravano una coppia
affiatata. - Quando pensi di partire? - chiese Adele. La frase le era
uscita improvvisamente dalla bocca e un attimo dopo averla detta,
avrebbe voluto mordersi la lingua. Ne era seguito un lungo silenzio.
-
Perché non mi chiedi di rimanere? - chiese a sua volta Osvaldo
interrompendo il silenzio, guardandola negli occhi. - Sei tu quello
che devi capire che direzione far prendere alla tua vita, deve essere
una tua scelta, sei libero di fare ciò che credi. Non ti ho mai
chiesto nulla, non voglio iniziare ora. - disse Adele.
-
Qui ho scoperto un mondo diverso. La vita scorre più lenta. Per fare
qualcosa devi darti da fare. Devi farlo ogni giorno, ma hai tempo per
riflettere. Le emozioni sono forti: o si ama o si odia. O bianco o
nero, bisogna decidere. L’indifferenza qui, non può esistere. Ho
finalmente ritrovato le mie passioni. Ogni cosa ho potuto gustarla,
viverla, molto lentamente. L’ho assaporata fino in fondo e ogni
sera chiudevo gli occhi, contento di aver passato la mia giornata
qui.
Sono
un’altra persona ormai … Ti preparerò la colazione tutti i
giorni … La mia decisione l’ho già presa, resto qui, con te …
-
Lei
sorrise, versando la minestra nel piatto ed insieme si misero a
tavola.
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