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Capitolo 19

Una strana luce filtrava nella stanza da letto. La sveglia era appena suonata, ma Osvaldo dormiva ancora. Più la sveglia suonava, più l’uomo continuava a russare profondamente.
- Osvaldo, svegliati, farai tardi! … E ricordati di portare giù il cane! - L‘uomo spalancò improvvisamente gli occhi. - Questa voce … -
Pensò. Si alzò di scatto, volgendo lo sguardo verso la donna che giaceva accanto a lui nel letto. - Ahhh! - urlò. - Accidenti Osvaldo, cos’hai? Mi vuoi spaventare a morte? - la donna si era voltata verso di lui guardandolo, arrabbiata. Osvaldo era impallidito, pareva avesse appena visto uno spettro. Aveva la bocca spalancata e la saliva gli stava colando giù dagli angoli, sul pigiama. - Alzati, farai tardi! - disse la donna, rimettendo la testa sul cuscino. Osvaldo avvertì una fitta al cuore. - Dio mio, Giovanna! - pensò. Ansimava, guardando l’interno della stanza, il pavimento, il corpo della donna. - Nooo! Sono a Barazzo! - Aveva il battito cardiaco altissimo. Si alzò e uscì dalla stanza, entrò in bagno e si guardò allo specchio. Aveva un aspetto terribile e la sensazione di sprofondare, come se le gambe non riuscissero più a sorreggere il peso della sua angoscia. Appoggiato al lavandino, fissava i suoi occhi disperati e ancora stupiti nello specchio.
- Adele, Montegeloni, il biocarburante … No, forse c’è una spiegazione … - Provo a telefonare ad Adele. Il numero della pensione lo ricordo a memoria. - pensò, dirigendosi verso il telefono fisso del soggiorno. - Allora, 0, 5, 4, 5, 7, 9 … - - Telecom Italia … il numero da lei selezionato è … inesistente. - Rispose la voce metallica della compagnia telefonica. Osvaldo era rimasto con la cornetta del cordless in mano. Poi aveva riagganciato e selezionato un altro numero, quello della trattoria - 0, 5, 7, 3, 4, 1 … - - Telecom Italia … il numero da lei selezionato è … inesistente. - ancora la voce metallica. Dopo aver lanciato il cordless sul divano del soggiorno, l’uomo era ritornato in bagno, con quell’ansia che non accennava a diminuire. Respirava con la bocca aperta, mentre nelle orecchie rimbombava il battito del suo cuore, che pareva volesse uscire dalla gabbia toracica. Guardando fuori dalla finestra si era accorto che l’orologio della stazione segnava le sette e venti del 20 agosto: era il giorno della verifica semestrale degli obiettivi. Non si era ancora vestito e non aveva neppure iniziato a preparare il caffè. Si era diretto in cucina, aveva messo sulle piastre elettriche la caffettiera, poi si era vestito in tutta fretta. La barba? Non c’era tempo. Doveva accendere il computer portatile. Aveva digitato “Montegeloni” sul motore di ricerca. “La ricerca per Montegeloni non ha prodotto alcun risultato“ aveva sentenziato il motore di ricerca. Nulla. Inesistente.
- Ho sognato tutto … Ecco perché vendevo gli aspirapolvere senza fatica … I due rockettari, la trattoria, il concerto … Adele … il cuoco per la colazione … Ci credevo. Sto impazzendo. Devo uscire, è tardi. -
Dopo aver messo al polso l’orologio con il logo della ditta, aveva preso le chiavi della macchina ed era uscito. La cagnetta, che aveva continuato a seguirlo scodinzolando, per cercare di attirare la sua attenzione, stava defecando, ormai rassegnata, sul tappeto finto-persiano del soggiorno, mentre il caffè, fuoriuscito dalla moka, stava bruciando sulle piastre elettriche, appestando l’intera cucina. Osvaldo era sceso per le scale di corsa. Sudava.
Il traffico del viale della stazione era sempre più caotico. Il padre di Bashir, aveva deciso di scendere dal marciapiede, provando finalmente ad attraversare la strada. Un corriere espresso, che guidava guardando la cartina per trovare l’ indirizzo di consegna, se l’era trovato davanti all’improvviso e aveva inchiodato, urtandolo e buttandolo a terra. Bashir era corso urlando fuori dal negozio. Il vecchio, però, si era rialzato incolume ed ora stava demolendo a colpi di bastone la carrozzeria del furgoncino. Il traffico si era bloccato, i clacson suonavano, la gente urlava e i vigili stavano arrivando a sirene spiegate. Osvaldo non si era accorto di nulla. Cercava il posto dove, la sera prima, aveva parcheggiato la Volvo. Provava una sensazione di soffocamento, un groppo alla gola, che non andava giù e non veniva su: gli tremavano perfino le mani.
I suoi occhi erano pieni di lacrime, mentre si accomodava al volante della Volvo. In un‘intera notte, aveva trascorso il periodo più bello della sua vita. Desiderava così tanto una vita diversa da quella che conduceva, che l‘aveva creata nella sua immaginazione ed aveva finito per crederci, così, solo per sentirsi bene. Ora era tutto sparito, lasciando un vuoto incolmabile, che lo aveva fatto precipitare in un burrone, nella realtà di tutti i giorni: il suo lavoro di sempre, i suoi pessimi dati di vendita, la sua arida relazione con Giovanna, la “castrante” Giovanna. Ora sapeva cosa significava inventare qualcosa per sentirsi meglio: ora poteva capire anche Giacomo. Si era fatto tardi, doveva arrivare in tempo all’appuntamento con il direttore.
- E adesso che cosa gli dico? - pensò l’uomo, parcheggiando la macchina nel cortile della ditta.
Era impresentabile, sudato e maleodorante, stravolto e con la barba non rasata. Non aveva salutato neppure il portiere, era subito salito nell’anticamera dell’ufficio del direttore. La supersegretaria lo aveva squadrato, disgustata. - Il dottor Zecchini è al telefono. Si accomodi e attenda. - Disse la donna, rivolgendo nuovamente lo sguardo al computer. Alle pareti dell’anticamera del dottor Zecchini non c’erano opere d‘arte, le uniche cornici appese contenevano delle frasi celebri. In particolare, alla parete confinante con il suo ufficio, c’era una grande lavagna appesa, dove il direttore stesso scriveva il “motto del giorno”.
Quel giorno, aveva scritto una frase di Anthony Robbins, formatore motivazionale: “Fissare obiettivi è il primo passo necessario per rendere visibile ciò che è invisibile” . Osvaldo leggendo la frase pensò ad Adele e a Montegeloni, il paese visibile solo nei suoi sogni e piano piano, la rabbia iniziò a prendere il sopravvento sull’ansia. La segretaria dovette chiamarlo per ben due volte, prima che lui sentisse. - Pinelli! Pinelli! Il direttore la sta aspettando, può entrare. -
Osvaldo non aveva nessuna voglia di parlare, di pensare al ben che minimo obiettivo. Due frasi continuavano a rimbalzare nella sua mente: “O bianco o nero. Si deve sempre scegliere, prima o poi.“
Si sentiva male, la sua colite ansiosa si era risvegliata, causandogli delle violente fitte all’intestino.
- Pinelli! Andiamo male, male, malissimo, quest‘anno! - Esordì il direttore - Mi stupisco di lei! Un venditore con la sua esperienza! Lei non si impegna a sufficienza, Pinelli!! Voglio che la mia squadra sia vincente! Lei deve assolutamente darsi da fare: ha quattro mesi di tempo per risollevare il numero delle vendite. Cosa propone per riuscire a raggiungere gli obiettivi? Pinelli! Ma mi sta ascoltando???? -
- Ecco, signor direttore … L’avvento dei centri commerciali … Chi compra con il sistema porta a porta sono solo le signore ultrasettantenni … E’ il sistema che non funziona … Il prodotto si deve rinnovare … -
- Ma non dica assurdità, Pinelli! Il prodotto va benissimo!! Il sistema è perfetto! E’ lei che non funziona, Pinelli!! I suoi colleghi riescono a fatturare in un mese più di quello che lei fattura in un semestre intero!! Ma si sistemi un po’ … Lei deve cambiarmi il look, Pinelli!!! Ha un aspetto terribile … Si deve impegnare! Lei deve uniformarsi alla squadra! Lei non può fallirmi Pinelli! La nostra è una squadra vincente! Ma mi sta ascoltando?! Pinelli! -
Osvaldo era diventato completamente rosso in viso. “o bianco o nero… “ Si era avvicinato al grande ficus, aveva girato per ben tre volte intorno al vaso, poi si era calato i pantaloni, defecando sul tappeto vero persiano antico dell’ufficio del direttore. Zecchini si era messo a gridare: - Ma che fa? … E’ pazzo? Signorina! Signorina! Chiami la sicurezza, presto! -
Osvaldo, dopo essersi pulito con una foglia strappata al ficus, si era tirato su i pantaloni con tutta calma e infine aveva aggiunto: - Mi licenzio. Da oggi sono in vacanza. Addio dottor Zecchini. Mi scusi per il tappeto, ma quando scappa … scappa. -
Sembrava sollevato. Aveva fatto una cosa riprovevole, ma che aveva sempre desiderato fare: abbandonare l’azienda con un “coupe de theatre” indimenticabile. Si sentiva meglio. Ora almeno respirava e tutto gli sembrava più chiaro: o bianco o nero, bisogna sempre decidere prima o poi. Ora doveva completare l‘opera e chiarire le cose anche con Giovanna, così, con calma, era tornato a casa.

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