Capitolo 2
Il
condominio di Osvaldo era stato costruito negli anni settanta ed era
un palazzo di sei piani, occupati da appartamenti e uffici, più il
piano terra occupato da negozi. C’erano molte famiglie di
lavoratori pakistani, quasi tutti impiegati nella ristorazione o nel
commercio ambulante. Erano persone tranquille; loro uscivano nelle
prime ore del mattino, mentre le mogli non uscivano quasi mai, se non
per accompagnare i figli a scuola o per far la spesa. Nel giro scale,
che ancora presentava l’originale carta da parati a cerchi verdi e
marroni, si poteva sentire spesso l’odore dolciastro e speziato
della cucina indiana e del riso basmati. Al sesto piano c’era la
famiglia di un poliziotto e qualche pensionato; più in basso, alcuni
operai che occupavano gli alloggi di proprietà della ditta di
costruzioni presso cui lavoravano e qualche studente. Al secondo,
c’era l’associazione ciechi, la sede del partito radicale e un
appartamento che era, senza alcun dubbio, il più lussuoso di tutto
il condominio. Era occupato da due trans brasiliani ed era stato
ristrutturato in maniera estrosa, costosa e pacchiana, ad opera di un
architetto generoso, loro cliente. Giovanna lo aveva potuto
visitare, quella volta in cui i sanitari del 118 erano dovuti
intervenire urgentemente, allertati da Lola e Zaira, per un
improvviso malore accorso ad un loro anziano cliente, che poi era
morto. Tutti erano stati svegliati, nel cuore della notte, dalle urla
disperate della Lola, alias Riberio Alejandro Da Silva, nel giro
scale.
Una volta
usciti dall‘atrio del condominio, si veniva improvvisamente
aggrediti dall’odore di scarico delle automobili e dal rumore
assordante del traffico nel viale della stazione. Osvaldo, richiuso
il portone alle sue spalle, rivolgeva un saluto a Bashir, gestore
pakistano del negozio di kebab dove consumava il “rinforzino”
serale del giovedì, prima di rientrare a casa. Il padre di Bashir,
arrivato da qualche tempo in Italia grazie al ricongiungimento
familiare, molto più che anziano, stava in piedi davanti alla
vetrina e guardava il traffico. Indossava una tunica bianca, una
specie di turbante in testa, portava una barba folta e canuta che non
tagliava da anni e un bastone nodoso molto lungo che lo faceva
assomigliare all’immagine di Mosè, nel colossal americano “I
dieci comandamenti” del 1956, con l’attore Charlton Heston nella
parte del patriarca. Osvaldo sperava che, prima o poi, il vecchio
sarebbe sceso dal marciapiede, non tanto per aprire le acque del Mar
Rosso quanto per risolvere l’ingorgo stradale che si formava ogni
mattina.
Dopo il
negozio di Kebab di Bashir, c’era l’internet point, il sexi shop
gestito da una ex impiegata delle poste, la rosticceria cinese
all’angolo e poi iniziava il parco della stazione, all’ingresso
del quale c’erano i distributori di sacchetti e palette per le
deiezioni dei cani.
Nelle prime
ore del mattino, il parco prospiciente la stazione ferroviaria era
frequentato non solo dai soliti barboni e tossici stanziali, che
erano appena usciti dalla stazione, ma anche dai conduttori di cani
del vicinato. Gli uomini portavano al guinzaglio cani di grossa o
media taglia, che precedevano il padrone, con passo deciso e a testa
alta. Le donne si accompagnavano a cani graziosi, spesso di razza,
che zampettavano loro accanto; gli anziani avevano cani meticci e
grassi, piccoli botoli, che camminavano lentamente come i padroni. I
pochi uomini, che come Osvaldo portavano al guinzaglio cani toy dai
cappottini alla moda, erano agli occhi di tutti degli uomini dalla
sessualità incerta, oppure erano stati costretti, come lui, a
portare al parco il cane della moglie.
Osvaldo
camminava in direzione del chiosco gestito dai cinesi, situato nel
bel mezzo del parco e Cocò lo seguiva zampettando, in un modo così
elegante che pareva camminasse sui tacchi alti. Si sedeva ai tavolini
davanti al chiosco ed ordinava, come ogni giorno, cappuccino e
brioche con la panna, infilando il guinzaglio allungabile di Cocò
nella gamba della sedia. Mentre lui si concentrava sui titoli del
giornale sorseggiando il cappuccino e inzuppando la brioche, la Cocò,
con tutto il guinzaglio allungato, si concedeva carnalmente, al ritmo
di campanello, al simil-pitbull bastardo del gruppo di Punkabbestia,
che beveva birra direttamente dalla bottiglia, nella panchina poco
distante.
Quando
la cagnetta ritornava soddisfatta zampettando sui tacchi, Osvaldo
aveva finito la sua colazione e poteva riprendere la passeggiata.
Percorreva il vialetto inghiaiato, lasciando la cagnetta annusare
nell’aiuola. Teneva a portata di mano la palettina e il sacchetto,
guardando di tanto in tanto l’orologio che teneva al polso. Il
cinturino in pelle era allacciato nell’ultimo foro ed era
leggermente stretto anche così; però era quello regalato dal
direttore a tutti i venditori durante la festa di Capodanno. Recava
il logo della ditta nel quadrante e doveva essere assolutamente
indossato nel caso di un colloquio con il dirigente: e proprio quel
giorno era prevista la verifica semestrale degli obiettivi annuali,
colloquio in cui ogni venditore doveva esporre i risultati di vendita
ottenuti nei primi sei mesi dell’anno, verificare il livello di
raggiungimento degli obiettivi e introdurre eventuali modifiche nella
strategia di vendita, concordandole con il proprio responsabile di
settore: praticamente una giornata dagli esisti incerti. Osvaldo
doveva inventarsi qualcosa per giustificare gli scarsi risultati
ottenuti e doveva farsi venire un’ idea originale che potesse
entusiasmare il direttore, anche se non necessariamente
strategicamente azzeccata.
Finalmente
Cocò dava segni evidenti di aver trovato un posto di suo gradimento
per deporre la deiezione mattutina, annusando in circolo l’angolo
dell’aiuola e poi abbassando le zampe posteriori e alzando la coda.
Osvaldo non poteva sapere quale fosse stata la causa di quelle feci
eccessivamente morbide e puzzolenti; ma l’operazione di rimozione
doveva essere portata a termine, visto che proprio in quel momento un
vigile della nuova “polizia ambientale” municipale si era fermato
poco distante e osservava l’attività di prelievo, pronto in caso
negativo ad estrarre il taccuino delle multe. Sacchetto nella mano
destra, paletta nella sinistra: peccato non avere una terza mano per
tapparsi il naso. Il cinturino dell’orologio troppo stretto, forse
sollecitato dal movimento del polso, aveva deciso di allentare la
presa e atterrare con tutta la cassa con tanto di logo nel morbido
liquame. - Merda! - esclamò Osvaldo, mentre il vigile, con la divisa
verde albero, disse - Il Buongiorno si vede dal mattino! - Osvaldo,
avendo ormai più volte sperimentato che la sfortuna tende a
viaggiare in coppia se non in gruppo, aveva appena avuto la conferma
di come poteva svilupparsi da lì in poi la sua giornata.
Cocò
seguiva attenta la rimozione delle deiezioni dall’aiuola e
dell’orologio dalle deiezioni. Quest’ultima operazione si
svolgeva con l’utilizzo di fazzolettini di carta, con un pessimo
risultato: la sostanza morbida e puzzolente, seppur fosse stata
rimossa in gran parte dalla cassa, era spalmata ora lungo tutto il
cinturino in finto coccodrillo.
-
Vabbè, lo laverò meglio a casa! -, sospirò Osvaldo rassegnato,
fissando con odio la cagnetta. Il contrattempo gli aveva fatto
perdere minuti preziosi; era tempo di correre a casa, consegnare la
Cocò a Giovanna, prendere le chiavi della macchina ed andare al
lavoro.
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