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Capitolo 3

Il tempo di salire al terzo piano, prendere le chiavi dell’auto, lasciare a casa l’orologio e la Cocò, ridiscendere le scale e Osvaldo era di nuovo in strada. Cercava di ricordare dove avesse parcheggiato l’automobile la sera prima, visto che il garage, compreso nell’affitto dell’appartamento, era di dimensioni insufficienti per contenere la sua Volvo SW Turbodiesel del ‘92.
Era consapevole, che l’automobile era una cosa indispensabile per svolgere la sua attività, e che avrebbe dovuto investire molto di più nell’acquisto di una autovettura più consona, ma stava ancora pagando le ultime rate delle protesi al silicone di Giovanna ed era molto meglio attendere qualche mese, prima di iniziare una nuova rateizzazione con la finanziaria, nella speranza che, nel frattempo, l’automobile non lo lasciasse a piedi per sempre.
Il garage, rimasto così inutilizzato, era stato subaffittato da Osvaldo alla proprietaria del sexy-shop, che lo aveva adibito a magazzino per i numerosi oggetti fallici vibranti.
La sua vecchia Volvo era grigio-beige, con le cromature sulle cornici dei finestrini e sulla mascherina, il bagagliaio era molto capiente e poteva contenere anche fino a dodici scatoloni di aspirapolvere con accessori. Questo andava a scapito della forma e dell’estetica, che ricordava quella degli automezzi utilizzati dalle pompe funebri, grazie alla forma squadrata ed al lunotto posteriore verticale.
Nessun meccanico era riuscito a risolvere il problema del fumo nero che usciva dal tubo di scappamento: erano state sostituite, nell’ordine: la pompa, la centralina e il filtro dell’aria, ma il problema sussisteva ancora e peggiorava, spingendo a fondo l’acceleratore. Osvaldo aveva fatto a piedi tutto il giro del vicinato ed ancora la Volvo non era saltata fuori. Un piccolo dubbio si faceva strada pian piano nel suo cervello: quello di averla parcheggiata in un posto per disabili o in zona rimozione. L’uomo allungava il collo e accelerava il passo, per individuare la macchina nella lunga fila di automezzi che costeggiava il viale della stazione. Aveva il respiro affannoso, ma finalmente, eccoli lì, gli inconfondibili paraurti neri ed il rivestimento interno in pelle beige consumata, con il coprischienale fatto con le palline di legno. Il momento della messa in moto era quasi uno spettacolo pirotecnico senza fuochi d’artificio, ma con parecchi scoppi e tanto fumo, che richiamavano l’attenzione dei passanti sollevando proteste. Un soffio di broncodilatatore, per soffocare l’attacco d’ asma sul nascere e Osvaldo era in pole position al semaforo di Via Enzo Ferrari. La sede della Ditta non distava molto da casa sua, bastava aggirare la stazione, prendere la circonvallazione e ci si ritrovava nella nuova zona produttiva: poteva ancora farcela a contenere il ritardo o, meglio, a recuperarlo in extremis.
Parcheggiata l’automobile, Osvaldo faceva il suo ingresso in ditta, con la camicia già macchiata qua e là di sudore e un ritardo di circa dieci minuti sull’orario dell’appuntamento. Il portiere lo aveva salutato dal suo gabbiotto vetrato, dicendogli che il Dott. Pier Filippo Maria Zecchini era già arrivato e lo attendeva per il colloquio.
Il responsabile del settore vendite era un esperto manager, a cui mancavano pochi anni al pensionamento e come tale, aspirava più di altri, ad ottenere entro l’anno la promozione ad un incarico superiore nella carriera, che gli avrebbe permesso un ulteriore avanzamento di tipo economico prima della pensione.
Tutta l’organizzazione aziendale era fondata sulla valutazione per obiettivi. Il manager a capo dell’azienda concordava gli obiettivi specifici ed i tempi previsti per raggiungerli, con i dirigenti dei vari settori e questi, a loro volta, lo facevano con i sottoposti. Il mancato raggiungimento degli obiettivi da parte di un collaboratore, non solo aveva conseguenze sulla sua valutazione per l’ottenimento del premio annuale di produttività, ma poteva avere ripercussioni negative anche sul raggiungimento degli obiettivi del dirigente. Osvaldo era ormai, da alcuni anni, la pecora nera del settore vendite ed il dottor Pier Filippo Maria Zecchini non gli avrebbe perdonato certo di essere la causa di una sua eventuale mancata promozione. I presupposti di Osvaldo erano pessimi: mancanza dell’orologio con il logo della ditta, ritardo di dieci minuti, numero di aspirapolvere venduti in sei mesi, al minimo storico.
N.B. 1. Indossare al polso l’orologio con il logo era, per il dottor Zecchini, “la dimostrazione della fedeltà alla ditta ed esprimeva l’orgoglio di appartenenza alla squadra“.
2. Il ritardo, non era concepibile: lui apparteneva alla vecchia guardia, si era laureato all’Accademia Militare e iniziava sempre alla stessa ora, in estate, in inverno, con la pioggia o con la neve, con le code in tangenziale o con il blocco totale del traffico. Lui si alzava sempre in tempo per eludere eventuali contrattempi.
3. Record negativo di vendite: per questo Osvaldo aveva ancora qualche minuto, per inventare una giustificazione plausibile.
- Lei è in ritardo, Signor Pinelli, il dottor Zecchini è al telefono, si sieda ed attenda! - esordì la supersegretaria, senza togliere lo sguardo dallo schermo del computer, al momento dell’ingresso dell’uomo nell’anticamera della dirigenza. Osvaldo si era seduto sul divano di rappresentanza disposto proprio di fronte alla scrivania dell’impiegata: aveva le mani sudate e si sforzava di pensare a una strategia di attacco per riuscire a superare positivamente il colloquio. La verità sui suoi scarsi risultati di vendita era molto semplice: si sentiva inadeguato, non ci credeva a sufficienza ed evidentemente riusciva a trasmettere ansia anche a molti dei suoi potenziali clienti. Ma forse non era neppure il lavoro in sé, forse il suo malessere era più profondo, forse doveva dare una svolta alla sua vita, andare altrove, cambiare tutto, prima di raggiungere il traguardo dei quaranta anni. La telefonata di Zecchini pareva durare a lungo e Pinelli si domandava, in quei lunghi minuti di anticamera, se avesse mai avuto il coraggio di licenziarsi, mandare elegantemente a quel paese il dottor Zecchini con i suoi obiettivi e buttarsi tutto alle spalle con tanti saluti.
- Il dottor Zecchini la sta aspettando! Può entrare. - cinguettò la supersegretaria, rivolgendosi a Osvaldo. Un ultimo sguardo alla sua immagine riflessa nella finestra dell’ufficio, il tempo di far uscire i polsini della camicia dalle maniche della giacca, sistemarsi il nodo alla cravatta, poi due colpetti alla porta e Osvaldo faceva il suo ingresso nell’ampio ufficio panoramico del dottor Zecchini.
L’uomo aveva appena varcato l‘uscio, nel momento in cui il dottor Zecchini gli chiese, a bruciapelo - Pinelli! Mi dica che ore sono! - non era una domanda a caso, era un ordine. Per fortuna, la porta distava almeno dieci metri dalla scrivania del dirigente e così Osvaldo aveva fatto finta di consultare l’orologio al polso ed aveva risposto - Le otto e trenta, signore, perdoni il ritardo, ma c’era un blocco della polizia nella circonvallazione, per una rapina, signore - la prontezza di riflessi avuta nel rispondere, e l’appellativo militaresco “signore” aveva fatto sì che il direttore riabbassasse lo sguardo sui dati di vendita. Osvaldo aveva deciso di passare all’azione, iniziando subito lui a parlare, anticipando i dati negativi, per volgere a suo favore il colloquio o, quanto meno, a limitare i danni con l’attacco. Osvaldo, messo alle corde, sviluppava delle risorse ed una faccia tosta impensabili.
- Dottor Zecchini, so di non aver ottenuto risultati entusiasmanti nelle vendite di questi sei mesi, ma se li confrontiamo con i dati degli anni precedenti, potrà concordare con me, che il totale delle vendite di aspirapolvere nella provincia di Barazzo, da parte di tutti i venditori in questi sei mesi, è in netto calo rispetto ai primi sei mesi dell‘anno scorso.- Lo aveva detto tutto d’un fiato, avvicinandosi a passi lenti verso la scrivania, nel tentativo di allargare su scala globale i suoi personali insuccessi.
Il direttore, un po’ allibito da tanta prontezza, cercava nel pacco di fogli che teneva in mano, i dati relativi agli ultimi anni ed aveva trovato incredibilmente veritiera l’affermazione di Osvaldo.
- Concordo con lei. Mah, mi dica, si è per caso fatto un’idea delle cause?- domandava ancora il direttore.
Nei corsi di aggiornamento per dirigenti, veniva insegnato loro, come prima regola, di coinvolgere i collaboratori, per motivarli nel lavoro. E coinvolgimento, per il dottor Zecchini, significava far fare ai sottoposti l’analisi dei dati, farsi dire le cause degli insuccessi e naturalmente far trovare a loro le proposte, volte al miglioramento della produttività. Facendo così, alla fine di tutte queste consultazioni, il direttore poteva limitarsi a ripetere al proprio superiore, tutto quello che aveva sentito dire dai collaboratori, analisi, obiettivi e strategie che il suo cervello non sarebbe mai stato minimamente in grado di pensare.
- La crisi mondiale dei mercati e… - Osvaldo faceva finta di crederci, - …i centri commerciali. Solo le signore ultra settantenni comprano ancora con il sistema porta a porta, signore -
Il dottor Zecchini riteneva la motivazione credibile o, meglio, forse anche i suoi dirigenti potevano bèrsela, ma era pronto a sferrare l’ultimo attacco con la domanda di rito.
- Bene, Pinelli, e la sua proposta, quale sarebbe, da attuare nell’immediato, per migliorare i suoi dati di vendita? -
Il povero Osvaldo aveva ormai esaurito la sua faccia tosta, non sapeva più che dire e pensando alla vita che stava conducendo e alla sua arida moglie che si trovava a casa, con un filo di voce, aggiunse - Cambiare città…andare …a …altrove.- La frase gli era morta in gola.
- Ma certo! - esclamò Zecchini a questo punto - Andare in un posto dove non sia ancora arrivata la grande distribuzione!! Ci vorrebbe un piccolo centro…Una valle lontana e non facilmente raggiungibile. Per esempio… a Montegeloni, in Valfredda! -
Gli occhi di Osvaldo erano completamente sgranati e sembravano ancora più grandi dietro le lenti degli occhiali da vista. - Valfredda? Montegeloni?? - pensò.
- Ci sono stato solo una volta nella mia vita - continuò entusiasta il dirigente - Lì i centri commerciali non sanno neppure cosa siano. Ottima proposta, Pinelli! Carichi la macchina il più possibile e vada in Valfredda. Resti lì, il tempo sufficiente per vendere tutti gli aspirapolvere, vitto e alloggio a carico della società. E’ la sua occasione, Pinelli, vada! -
Osvaldo era rimasto a bocca aperta e con la stessa espressione era uscito dall’ufficio, senza salutare il dottor Zecchini, né tantomeno la supersegretaria.

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