Capitolo 4
“Montegeloni
di Sotto, piccolo agglomerato di case nella ridente Val Fredda, è
situato a circa 1000 m di altitudine sull’omonimo altipiano.
Insieme alla frazione Montegeloni di Sopra conta 200 abitanti, che
vivono principalmente di agricoltura. In passato il borgo era il
luogo scelto dai canonici agostiniani della Cattedrale di San
Gregorio per i periodi di meditazione, astinenza e purificazione nei
mesi estivi. La zona paludosa intorno al lago Bianco ospita più di
trentacinque specie di felci, il gambero di fiume e molte altre
specie di piante e animali in via di estinzione.”
Questo
quello che Osvaldo aveva trovato cercando in internet, la descrizione
di un posto incontaminato, dove probabilmente gli aspirapolvere non
servivano. Ben altre notizie, aveva avuto chiedendo qua e là ai
colleghi. Parlavano di un posto isolato, dove per tre mesi faceva
freddo e per nove mesi c’era la neve, raggiungibile solo attraverso
una vecchia strada militare non collaudata, che contava ben 15
tornanti e due valichi. In inverno la strada era spesso interrotta,
la televisione si prendeva solo in alcune ore del giorno, e cosa
ancor più drammatica, il cellulare non aveva campo.
Osvaldo
era comunque contento di fare le valigie e partire. Aveva risolto per
ora positivamente il colloquio con Zecchini e poteva finalmente
abbandonare Barazzo per una destinazione a lui ignota, restando
fuori il tempo necessario per completare la vendita. Tutto questo
senza portarsi dietro Giovanna. Aveva caricato con dodici
aspirapolvere più accessori il capiente bagagliaio della Volvo ed
era tornato a casa, giusto in tempo per scambiare due-parole-due con
la moglie e riempire una borsa con gli effetti personali.
Giovanna,
stranamente non dispiaciuta, nonostante la trasferta di Osvaldo fosse
imprevista e non programmata anzitempo, era uscita al volo con Cocò,
per non arrivare in ritardo all’appuntamento per la ricostruzione
unghie, senza neppure salutarlo.
Osvaldo
programmava di arrivare sul posto in serata, trovare una sistemazione
per il vitto e l’alloggio, prendere un po’ di informazioni
direttamente dagli abitanti ed iniziare la vendita, che sarebbe
avvenuta, secondo le sue previsioni, in un tempo limitato a circa
una trentina di giorni, giorno più, giorno meno, sicuramente prima
della fine della stagione calda, alla fine di settembre.
Il
nuovo navigatore satellitare installato sulla Volvo, non visualizzava
la strada militare, ma dalle informazioni ricevute dai colleghi, non
poteva sbagliarsi. Dopo aver guidato per tre ore in autostrada e
almeno un’altra ora su una stradina tortuosa ancora conosciuta al
navigatore, lì dove finiva la strada, avrebbe trovato l’incrocio
che lo immetteva dritto nella carrozzabile militare e dopo ancora
un’ora abbondante di curve e tornanti, sarebbe arrivato a
Montegeloni di Sopra… - Speriamo che la Volvo decida di seguirmi in
questa avventura! - pensò Osvaldo mettendo in moto l’automobile
con il solito spettacolo pirotecnico. Chissà perché, mentre si
allontanava da Barazzo, iniziava ad avvertire una sensazione strana,
una sensazione di leggerezza, come quando era adolescente e stava
partendo per una gita scolastica. Era un’emozione inconsueta, che
non provava da anni. Il viaggio in autostrada si era svolto senza
particolari problemi, si era fermato in autogrill un paio di volte,
poi aveva preso la strada indicata dal navigatore e, seguendo il
consiglio datogli da un collega, aveva rabboccato il serbatoio,
facendo rifornimento all’ultimo distributore prima della fine della
strada. Erano già le 16.30 e stava imboccando la strada militare.
All’inizio si poteva leggere un cartello che suonava come un
presagio funesto: “STRADA MILITARE NON COLLAUDATA - TRANSITO A
PROPRIO RISCHIO E PERICOLO “- Un brivido aveva percorso la schiena
di Osvaldo, ricordando il terzo canto dell’Inferno e la voce della
professoressa di lettere delle superiori mentre decantava: “LASCIATE
OGNI SPERANZA, O VOI CH’ENTRATE”.
Le
rocce erano bianche, calcaree e friabili, bisognava cercare di
evitare i pezzi più grandi che giacevano sulla carreggiata. La
strada saliva e saliva, e mano a mano che saliva la temperatura
scendeva, rendendo il viaggio più gradevole. Osvaldo non riusciva
più a sintonizzare la radio per ascoltare musica, si riusciva a
sentire solo un ronzìo diffuso. Arrivato al quinto tornante, il
cielo, sempre più nuvoloso iniziò a richiudersi, al sesto le nuvole
si facero sempre più minacciose e un forte vento iniziò a fischiare
e muovere le fronde degli alberi a lato della strada. All’ottavo
tornante un temporale estivo investì la Volvo con acqua torrenziale
e chicchi di grandine e Osvaldo iniziò a ricordare i cerchi
dell’inferno: il secondo, quello dei lussuriosi, investiti dalla
bufera infernale, il terzo, quello dei golosi, immersi nel fango e
sotto una pioggia incessante. Al nono tornante, dopo aver schivato un
masso staccatosi dalla scarpata a monte della strada, Osvaldo pensò
ormai di trovarsi alla fine del settimo cerchio ed era quasi certo di
incontrare il Minotauro, una volta superato il decimo tornante. Ed
invece l’inferno era finito, la pioggia era pian piano diminuita
fino a cessare completamente e la strada proseguiva in un bosco pieno
di alberi. La nebbiolina che si alzava dal terreno rendeva tutto
molto sfuocato, ma la visibilità era sufficiente per vedere che la
strada riprendeva a salire. I tornanti si facevano più distanti uno
dall’altro, non c’erano più le rocce bianche ed il bosco di
latifoglie era così fitto che non si riusciva a vedere il cielo: non
c’era nessun prato, pascolo o radura ad interrompere la monotonia
del paesaggio. Fino ad allora, il pensiero di poter avere l’auto in
panne o di avere un piccolo incidente in quella strada desolata, non
lo aveva neppure sfiorato, attento com’era alla guida. Ma ora
iniziava a pensarci: viaggiava da più di un ora sulla strada
militare e non aveva incrociato nessuno, la radio non riceveva, il
cellulare manco a provarci. Qualora si fosse fermato, poteva solo
sperare nel fiuto del suo calzino da parte del Bloodhound. Solo lui
lo poteva scovare. Questo sempre se Giovanna si fosse resa conto
della scomparsa, altrimenti era destinato a passare la notte
all’addiaccio e forse ad addormentarsi per sempre nel torpore dei
sintomi da congelamento.
Ma
la Volvo, con il livello della temperatura dell’acqua quasi sul
rosso e i fumi di scarico simili a quelli di una locomotiva a
carbone, divorava chilometri su chilometri. Finalmente una radura,
con un prato coltivato a fragole, terminato il quale, si potevano
ammirare quattro sequoie secolari, che si ergevano ritte contro il
cielo. Parevano delle guardie, messe in quel posto a protezione di
qualche cosa: forse Osvaldo era quasi arrivato a destinazione.
Superate le sequoie, la strada iniziava a scendere, si passava un
ponticello in legno e ci si infilava in un tunnel buio, scavato
completamente nel granito grigio.
Appena usciti, si veniva colpiti dall’ultimo raggio di sole, già inclinato all’ora del tramonto ma accecante e poi ci si trovava improvvisamente sotto la testa enorme di un drago. Il primo colpo d’occhio accoglieva l’autista impreparato, che d’istinto mollava l’acceleratore per schiacciare il pedale del freno; ma un attimo dopo, si accorgeva con stupore e meraviglia, che il drago in questione era soltanto un’installazione di ferro battuto, un’opera d’arte. Sulla scarpata destra c’erano il corpo enorme con le zampe, poi c’erano il testone con le corna e le narici allargate, mentre la lingua lunga, che usciva dalla bocca, creava un arco sopra la strada. Era allora che Osvaldo poteva notare il cartello di Benvenuto: era arrivato a Montegeloni di Sopra.
Appena usciti, si veniva colpiti dall’ultimo raggio di sole, già inclinato all’ora del tramonto ma accecante e poi ci si trovava improvvisamente sotto la testa enorme di un drago. Il primo colpo d’occhio accoglieva l’autista impreparato, che d’istinto mollava l’acceleratore per schiacciare il pedale del freno; ma un attimo dopo, si accorgeva con stupore e meraviglia, che il drago in questione era soltanto un’installazione di ferro battuto, un’opera d’arte. Sulla scarpata destra c’erano il corpo enorme con le zampe, poi c’erano il testone con le corna e le narici allargate, mentre la lingua lunga, che usciva dalla bocca, creava un arco sopra la strada. Era allora che Osvaldo poteva notare il cartello di Benvenuto: era arrivato a Montegeloni di Sopra.
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