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Capitolo 8

Era quasi ora di mangiare. Anche il gruppo di biologi tedeschi era arrivato, avevano tutti gli stivali imbrattati di erba e di fango. Si erano seduti al tavolo vicino ad Osvaldo, avevano ordinato delle birre e iniziato subito a brindare. Parlavano in inglese con Miranda, dicevano di aver finito il lavoro e che l’indomani sarebbero ripartiti per la Germania con i loro dati, per fare ritorno all’università. In effetti, eravamo già alla fine di agosto, la stagione turistica di Montegeloni era quasi finita. Certo, nei fine settimana qualche villeggiante si sarebbe avventurato ancora lassù, almeno fino alla metà di ottobre, ma poi più nulla. Negli ultimi anni, già all’inizio di novembre era caduta la prima neve e sarebbe rimasta, nella zona in ombra del lago, anche fino alla fine di maggio.
Ma ecco Toni arrivare con il pentolone di riso direttamente dalla cucina, seguito da Miranda con i piatti. Il servizio non era quello di un ristorante di lusso, ma quello di una trattoria alla buona. In mezzo alla tavola venivano messi una bottiglia di vino rosso e una brocca d’acqua e il riso veniva servito a mestolate. Toni guardò Osvaldo e poi aggiunse - Se ne vuoi ancora, basta chiedere! Adesso arriva Miranda con il formaggio! - Osvaldo assaggiava con curiosità e mangiava con vero piacere, ripromettendosi di segnalare il locale alla guida Michelin e a quella del Gambero Rosso. Tutto era gustoso. Raramente Osvaldo aveva potuto assaggiare della selvaggina, nei ristoranti dove mangiava abitualmente. Era arrivato il momento del dessert, perché non assaggiare anche quello? Intanto Giovanna con le sue zucchine bollite era lontana chilometri e Osvaldo si sentiva finalmente libero di gestire una dieta personalizzata. D’altronde, perché avrebbe dovuto rinunciare a un semifreddo ai frutti di bosco? Il cuoco aveva finito il lavoro in cucina e si era preso il tempo per scambiare ancora due chiacchiere con Osvaldo. Sarebbero andati avanti così, per una buona oretta, parlando di cibo, di vini e del concerto serale, se Miranda non fosse venuta ad avvertire Toni di preparare la zona per il palco. Nel giro di un paio d’ore, infatti, sarebbe arrivata la band per montare gli amplificatori e provare gli strumenti. Prima di alzarsi, Toni disse ancora a Osvaldo - E’ un bene che vieni, potrai conoscere molti abitanti e poi vedrai che i musicisti della band sono proprio bravi, non riuscirai a stare fermo sulla sedia! Il concerto inizia alle 20, prima prepariamo le salsicce e fagioli al sugo per tutti, vieni giù con l’Adele, vedrai che ti divertirai! - Miranda aveva tirato Toni per la canotta, Osvaldo allora si era alzato per fare ritorno al B&B. Un aspirapolvere lo aveva già piazzato in mattinata, poteva anche cambiarsi gli abiti, mettersi qualcosa di comodo e fare una bella passeggiata verso il lago, così, per ambientarsi un po’.
Finalmente delle comode scarpe con la suola in gomma, dei jeans larghi e una polo a righe orizzontali, che lo allargava ulteriormente, ma era la sua preferita. Era il suo abbigliamento della domenica, quello con cui andava a comprare il giornale, prima di passare l’intero pomeriggio sul divano in mutande a fare zapping, nelle domeniche passate in casa, mentre la moglie era al lavoro.
Aveva deciso di scendere verso il lago lungo il sentiero, senza muovere la Volvo, così avrebbe magari visto meglio, guardando dall’alto, le case sparse e le strade che gli erano state descritte dettagliatamente da Toni. Non ci voleva così tanto tempo, a piedi, forse un quarto d’ora circa, tutto in discesa. Giunto sulla riva del lago, aveva deciso di prendere il viottolo che portava in direzione della chiesa. Lungo la sponda, si estendeva un fitto canneto, dove trovavano nascondiglio diversi uccelli, che si spostavano spaventati al passaggio dell’uomo, tuffandosi in acqua o alzandosi in volo. Osvaldo aveva sentito un rumore di foglie calpestate dietro di sé, si era voltato senza scorgere nulla; aveva ripreso poi a camminare, voltandosi nuovamente, di scatto, così, per due o tre volte, fino a che non era riuscito a sorprendere un fagiano, che seguiva i suoi passi a pochi metri di distanza, ma al di là della siepe di noccioli. Per fortuna era solo un pennuto, l’uomo si era quasi messo paura, non era per niente abituato al rumore della natura e dei suoi abitanti. Tutto ad un tratto, un gruppo di bambini di età compresa tra i sei e i dieci anni era sbucato da dietro un albero, correndo veloce sul sentiero in direzione di dell‘uomo, con alcune fionde in mano, forse a caccia di rane. Il primo della fila, urlò agli altri - Presto! Scappiamo! Arriva il mostro, arriva Frankenstein, nascondiamoci! - Osvaldo aveva sentito le parole distintamente, rideva tra sé e sé, pensando a quale avventura fantastica stessero vivendo quei bambini, in corsa a rotta di collo tra le siepi. Poi, dopo l’albero, lo aveva visto, il mostro: c’era Giacomo, vicino al pontile del lago, non molto distante dalla chiesa. A volte i bambini sanno essere crudeli, anche nella loro innocenza. In effetti, le cicatrici che gli deturpavano il viso, potevano ricordare l’immagine del mostro di Frankenstein, così, come veniva sempre rappresentata nei film o anche nei cartoni animati: le cicatrici sulla fronte e sul viso, lo sguardo un po’ vuoto e l’andatura claudicante.
Osvaldo si avvicinò a Giacomo, che stava semplicemente raccogliendo bacche di sambuco. - Ciao! Cosa stai facendo? -
- Ah, Osvaldo, sei tu!…Sto raccogliendo le bacche per l’Adele, vuole fare il liquore, o la marmellata, non so. - Era molto allegro, aveva lo sguardo felice, gioioso. - Lo sai che la mia compagna aspetta un figlio? Il mio secondo figlio. Ne ho già uno, sai? Ha sei anni. A settembre andrà a scuola. E adesso arriverà un piccolino, o una piccolina … Non so … - Osvaldo era sorpreso, ma partecipava alla felicità dell’uomo, senza porsi tante domande. Aveva davanti a sé un padre radioso. - Cosa si regala alla propria compagna, quando nasce un bambino? - Chiese Giacomo a Osvaldo. - Non saprei, io non ho figli. - rispose quest‘ultimo - Forse dovresti regalarle qualcosa per il bambino … O magari dei fiori. Congratulazioni, comunque, sono contento per te! Tra quanto nascerà? -
- Penso tra due o tre mesi, non so di preciso. Quanto tempo ci vuole, in genere? -
Ecco, ancora una domanda spiazzante. - Ma come è possibile che non lo sappia? E ne ha già avuto uno. Boh! Chissà chi mai sarà questa compagna … - Pensò Osvaldo e un po’ in imbarazzo, disse - Tanti auguri ancora, Giacomo, eh? Vado a vedere la chiesa, continuo la mia passeggiata. Ci si vede! -
Aveva deciso di tagliare corto con la conversazione e si era voltato, proseguendo sul sentiero. Eppure l’immagine dello sguardo di Giacomo non riusciva a togliersela dalla mente: i suoi occhi erano veramente felici, sinceri, senza ombre: orgogliosi, come solo quelli di un futuro padre possono essere.
C’era stato un tempo in cui anche Osvaldo e Giovanna avevano desiderato un figlio: ma senza troppa convinzione, anche quello. E un figlio non era arrivato. Poi i rapporti sessuali con Giovanna si erano diradati, fino a sparire del tutto, come il suo interesse per lei. Contemporaneamente la donna si era dedicata sempre più alla sua trasformazione fisico-estetica e ai suoi cani, mentre lui concentrava la sua curiosità sul cibo. Osvaldo era ormai un orso andato in letargo, neppure le donne conosciute durante le dimostrazioni lo avevano spinto a cercare un’altra compagna. Può una vita di coppia banale rendere la vita incolore? Può addormentare i sensi e far perdere la curiosità di provare nuove emozioni? Difficile da credere, ma era successo. Entrambi non riuscivano ad ammettere la fine del loro matrimonio ed avevano tacitamente preferito ridurre il loro rapporto di coppia ad una semplice coabitazione. Difficile riconoscere il fallimento, difficile riconoscere la fine del progetto di vita, che un tempo, avevano creduto potesse durare per sempre. Osvaldo doveva rivedere completamente i progetti per il futuro: svuotare tutto e ricominciare da zero. Fare il vuoto, fare spazio, da riempire poi con qualcosa di nuovo, di bello, di esaltante. Questa seppur “breve vacanza” di lavoro poteva forse dargli l’opportunità di prendere qualche decisione importante. Questi i pensieri che affollavano la mente di Osvaldo mentre apriva il cancelletto del cimitero, che circondava la chiesa di Montegeloni. Era stata costruita in pietra, in cima ad un dosso, alla fine del lago, circondata da mura. Aveva il campanile a punta come una matita, ma a pianta quadra. All’interno filtrava poca luce dalle vetrate e sotto l’altare, in una teca di vetro, era contenuto lo scheletro di un monaco morto di peste nel lontano 1600. Le ossa grigie e il saio consunto dal tempo, davano un’immagine ancora più lugubre del luogo. Osvaldo guardava tutto con interesse, leggeva le descrizioni e si sentiva quasi come un turista in vacanza.
- Mi scusi, buon uomo … dovrei chiudere la chiesa - Era il giovane parroco di Montegeloni, che uscito dalla sacrestia, si era avvicinato a Osvaldo - Sono don Biagio, le lascio ancora un paio di minuti per finire le sue preghiere - disse, finendo di raccogliere i libretti della catechesi che giacevano sui primi banchi.
Osvaldo lo salutò, dando ancora un’ultima occhiata all’interno della chiesa ed uscì. Dal sagrato era possibile vedere, alzando lo sguardo, i balconi del B&B. L’uomo si era finalmente reso conto che il ritorno sarebbe stato tutto in salita; forse era meglio incamminarsi verso la pensione, ma prima voleva concludere il giro del lago, passando vicino alla fila di edifici costruiti lungo la strada asfaltata. Avrebbe potuto dare un’occhiata ai negozi: Toni gli aveva consigliato di evitare di chiedere al macellaio di fare la dimostrazione, ma di parlare piuttosto con la moglie, che spesso era in negozio nel pomeriggio. Golìa Rapponi, il macellaio, era famoso per avere un cattivo carattere: aveva litigato un po’ con tutti a Montegeloni, anche con il fratello, contro il quale aveva intentato una causa legale per questioni di eredità. Il guardiacaccia, inoltre, sospettava che fosse lui il bracconiere che sparava ai camosci fuori stagione, nella forra del Rio Montegeloni. Già per ben due volte gli era sfuggito: l’ultima volta il bracconiere gli aveva fatto fuoco contro, mancandolo di poco e riuscendo a dileguarsi nel fitto della boscaglia, alle prime luci del mattino.
Proprio in quel momento, due donne stavano chiacchierando sulla porta d’ingresso della macelleria: una era Adele, l’altra era con tutta probabilità Bruna, la moglie del macellaio. - Buon pomeriggio! - esordì Osvaldo, arrivato a pochi passi dalle due donne. Adele si voltò e lo guardò, con i suoi occhi verdi e brillanti come fanali. - Osvaldo! Venga qui! Stavo proprio parlando di lei e del suo aspirapolvere alla signora Bruna, venga che vi presento! - Bruna era di aspetto gradevole, minuta, sui trent’anni e sembrava interessata all’ elettrodomestico. Pensava potesse servirle, visto che si occupava anche delle pulizie della chiesa e della casa del parroco. Osvaldo si era rallegrato di poter fare una dimostrazione a casa sua e così, avevano concordato un appuntamento per la settimana successiva.
- Osvaldo, ha approfittato di questa bella giornata per fare due passi? - chiese Adele dopo che Bruna era ritornata in negozio - Sì, ora però che ho visto la salita che mi aspetta al ritorno, non sono poi così contento… - - Salga con me sul fuoristrada, le do un passaggio! - Rispose Adele, accendendo l’ automobile e quindi partì, con il freno a mano tirato.



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